La delusione è un sentimento come un altro. Provate a pensare che manca più di mezza squadra e vi risveglierete meno sudati

L’Atalanta ha affrontato la Coppa Italia, o meglio la prima eliminatoria veramente difficoltosa, con la miglior formazione possibile e ne è uscita perché ha sbagliato più dell’avversario. Non c’è davvero altro dietro il ko di corto muso col Bologna nel quarto di finale in casa, tranne che perdere nel proprio fortino dà un po’ più sui nervi a tutte le latitudini. Ma a Bergamo il de profundis sta prendendo il sopravvento a tre mesi e rotti dalla fine di una stagione finora da podio sul fronte interno e da quello delle notti magiche ancora apertissimo. Come mai?

I sogni infranti e quelli sempre vivi

Non che debba essere un motivo di consolazione o lo zuccherino per addolcire la pillola, ma la zavorra è lì da vedere. Sei infortuni nel giro di dieci giorni, parafrasando il Gian Piero Gasperini per nulla nervoso e appena un po’ deluso dall’eliminazione nel dopogara, sono come il mondo che ti cade addosso. Più di mezza squadra fuori, eppure come accade regolarmente i numeri sono stati migliori dell’avversario. Ai punti si sarebbe dovuto vincere. Non un alibi né un contentino, ma quando per necessità si devono gettare nella mischia i due soli colpi che è stato possibile portarsi a Zingonia in un calciomercato di riparazione dove non è che gli altri siano tenuti a farti diventare più forte e competitivo gratis et amore, significa finire la partita con otto riserve, otto giocatori su undici che non sono certo intoccabili. Nessun piano gara, a quel punto, avrebbe potuto lontanamente assomigliare a quelli a pieno regime. Senza contare gli estri in meno, tutti sotto cura medica. Anche se, certo, non fa piacere lo stesso aver dovuto interrompere il quarto assalto al primo trofeo conquistato nella storia societaria e fino al 22 maggio scorso pure l’unico in bacheca.

L’Europa League e l’asticella sempre alzata

A sfasare, pardon falsare, la prospettiva è l’Europa League vinta. Proprio nel vivo dell’annata dei sogni, quando si è chiuso in testa il 2024, il calo fisiologico, non di prestazioni bensì di rendimento, di risultati in parole povere. Quel trionfo così vivido nel cervello e nel cuore ha illuso tanti, facendo passare per scontato ciò che non lo è. Un punto di partenza per alzare l’asticella, specie quando si hanno i conti sempre in attivo. Detto ciò, si alzano anche le aspettative. Donde le osservazioni sacrosante su un organico monco in attacco, con lo stesso mister a reclamare più volte una punta in più per poi ritrovarsene una in meno con la nuova dipartita di Scamacca che nessuno avrebbe potuto prevedere. Invece che sei ne ha quattro, tre finché Lookman non sarà nuovamente arruolabile. Per non parlare della difesa, vittima di un’ecatombe che per ora l’ha dimezzata. Le dinamiche di mercato hanno spalancato i cancelli a Daniel Maldini e Stefan Posch, che per quanto bravi nessuno inserirebbe nell’undici ideale dei martedì e dei mercoledì sera da caccia al trofeo. La dimensione attuale è quella, seppur di lusso, dei tappabuchi. E allora, ci si chiede una volta di più?

Tra la rabbia e l’orgoglio

Nessuno ha la bacchetta magica, nessuno fa miracoli. Nel calcio, come in un qualunque altro ambito della vita, della professione e dello scibile, i risultati sono figli del lavoro e della qualità delle risorse per realizzare gli obiettivi. Gli agenti di commercio tengono in agenda il piano di battaglia coi target di clientela e di numeri da portare a casa. Un dirigente e un allenatore di footbal non sono poi così distanti dal modello. Una su tre ti va bene, per ogni preventivo hai un ordine ed ecco le provvigioni, che nel caso dell’Atalanta sono anche, anzi soprattutto, le plusvalenze, le sole insieme ai ricavi in quota diritti TV e Champions o Europa League che sia a tenere i conti costantemente in attivo. I Percassi e i Pagliuca, leggi gestione sportiva ed economica, non possono mica indebitarsi per il vezzo, peraltro mai avuto o quantomeno mai dichiarato, di spacciare la Dea per unica divinità dell’Olimpo del pallone o comunque per grande alla pari di una polisportiva spagnola sempre ben oltre il fair play finanziario o di un club italiano da aumento di capitale continuamente richiesto ai soci.

Bergamo coi piedi per terra

L’Atalanta è Bergamo e insieme all’aeroporto, altra immagine di marca come la Carrara e Città Alta, ne è la porta sul mondo, simbolo vivente, su due piedi e sei tacchetti per scarpa, di uno sviluppo morale e civile che giustamente non deve porsi limiti né sponde oltre a quelle per non fare esondare più la Morla e la Tremana. Quindi, anche senza scomodare la perenne retorica di un confronto impossibile con l’acqua e il fango di Sant’Angelo Lodigiano nell’inferno della C inizio anni ottanta, a tifosi e osservatori va tranquillamente indicato che il senso del limite cozza sempre coi limiti del possibile. Se perdi col tuo candidato al Pallone d’Oro in infermeria, farne una tragedia è da illusi o da malati di fegato.

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